Punta Rugno: sull’orlo dell’abisso

Punta Rugno: sull’orlo dell’abisso

Le immersioni nel mare di Milazzo son quasi tutte all’apice del promontorio e sulle due secche poco distanti dall’accidentato profilo costiero. La morfologia del fondale, grazie al calcare che si alterna al metamorfico, genera ineguagliabili sculture di roccia, riccamente colonizzate dalla caratteristica biodiversità mediterranea. Quando il Blunauta si avviò in questa meravigliosa attività di divulgazione naturalistica con approccio subacqueo (diving center a misura d’uomo), una sorta di turismo responsabile che insegna a fruire degli spettacoli del mare nel modo più corretto e accattivante, Mauro lasciava ancora come “riserva” (non per motivi legati alla bellezza del luogo ma solo per la sua profondità considerevole) il tuffo sul ciglio impegnativo di Punta Rugno, riservandolo ai più esperti e procedendo sempre con la dovuta cautela.
Inutile dire che ho voluto subito vederci chiaro e puntare dritto alla perlustrazione di questo sito, direi piuttosto diverso da tutti gli altri, con peculiarità tutte sue. Ma vediamo il perché di questa diversità e quali sono le meraviglie nascoste su questa gradinata di roccia che si affaccia sull’orlo dell’abisso a partire dai 40/45 me di profondità per arrivare rapidamente oltre i 100 m. Proviamo a immaginare un percorso ideale di un’immersione, per comodità di pensiero, più lunga del normale; ovvero un tuffo fantasy che ci conduca lungo le tappe di questa scarpata sommersa. Tutto inizia a una decina di metri di profondità, a pochi metri dalla riva, dove l’ancora si adagia sulla sabbia tra le ricche matte di una lussureggiante Posidonia. Una prateria ancora molto rigogliosa, che segue un pendio che inizia subito la sua discesa verso il blu profondo.

Pinneggiando lungo il pendio, lasciamo la posidonia subito dopo i 15 m e iniziamo a “sorvolare” una singolare foresta di grandi sargassi: questo è il primo spettacolo che solo Punta Rugno, in questo mare, offre in modo così generoso. A un certo punto, verso i 25 metri di profondità, comincia a rarefarsi la boscaglia di sargassi e appaiono le prime candide gorgonie a candelabro (Eunicella singularis). Il fondale sabbioso sembra adesso un misto di esili eunicelle bianche sparse qua e là e un “sottobosco” di fogliame di posidonia, che per la pendenza del fondale vede depositarsi in accumuli vistosi, le foglie nastriformi fino alla soglia dei 50 m.

A 45 metri si iniziano a vedere i primi rami di “carnose” gorgonie rosse (Paramuricea clavata), che a Punta Rugno si presentano con rami grandi e non particolarmente addossati gli uni agli altri. Le ramificazioni, di un bel rosso carico, con diverse varietà cromatiche che oscillano dal rosa al violaceo, hanno forme incredibilmente varie e si esprimono in una bellezza strutturata per far vibrare i neuroni dell’osservatore consapevole e sensibile. In seno alla ramificazione di ogni singola gorgonia, che aderisce alle pareti dei diversi gradini di questo imponente tempio sommerso, si insinuano altre forme viventi colonizzatrici: come i meravigliosi merletti di mare (briozoi) arancioni, di arzigogolate fattezze, e il bellissimo Antozoo parassita Alcyonium coralloides, con il suo intenso color fucsia cupo e i suoi polipi trasparenti col colletto bordato di bianco, che nell’insieme offrono una visione di bellezza pari o addirittura superiore a quella offerta del più noto corallo rosso.

Siamo intorno ai 50 metri di profondità e, mentre nuotiamo tra le gigantesche gorgonie che quaggiù ci appaiono di un carico blu scuro, ci lasciamo scivolare ancora di qualche metro, dove la roccia è ricoperta di alcuni polipi di madrepore e dell’ormai raro Corallium rubrum. Il fascio di luce delle nostre torce (anche di giorno) diventa sempre più la nostra guida per scoprire i dettagli nascosti nelle profondità, dove ogni tanto esplode il fascino ipnotico di qualche cerianto, amante delle oasi di fango e i diafani coralli molli (Alcyonium palmatum e Alcyonium acaule), questi ultimi abili nell’erigersi sui fondi di fine sedimento come anche su cime e lenze abbandonate o sulla stessa roccia. In questo palcoscenico, tanto suggestivo quanto tenebroso, nuotano grossi sparidi (saraghi e dentici) o poltriscono corpulenti scorfani rossi, come fossero i guardiani del tempio. Con la loro eleganza appaiono poi dal nulla, quasi come fantasmi, i mitologici Zeus faber: l’immersione cambia il suo corso e ci concentriamo sull’attenta osservazione del suo fare quasi melodioso, come se una musica silente accompagnasse il vibrare pacato delle sue insolite pinne. Il tempo scorre rapido e bisogna abbandonare questo regno, affrontando una lenta risalita verso la luce. Ogni metro guadagnato verso la superficie e le necessarie soste di decompressione, conduce le nostre menti al ricordo di quanto appena vissuto. Ci distraiamo cercando qualche polpo mentre sostiamo tra sabbia e posidonia, ma non è raro che si materializzi l’invisibile cavalluccio marino o forse anche il simpatico pesce ago. Inutile dire che, con la passione che ci contraddistingue, la scoperta di Punta Rugno ci ha portati ad affrontare questi tuffi anche in notturna, ma per descrivere le emozioni vissute nell’oscurità sarebbero necessarie tante, troppe parole.

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